Il Ponte verso gli Antichi: Mirra, Cinira e Dante
di Keisuke Nakajima
Nel corso della storia dell’Italia, si sono visti molti grandi autori. Ma, siamo d’accordo che Dante Alighieri va annoverato tra quelli migliori. Anche lui ha un forte debito verso la letteratura del periodo antico-romano. Infatti, è noto che n’è stato innamorato. Amava molto gli autori romani, come Ovidio e Virgilio (ovviamente): la sua Divina Commedia, infatti, è ispirata alle loro opere. Vorrei parlare degli esempi che mostrano queste influenze.
Nel canto XIII del suo Inferno, Dante parla delle anime che sono state trasformate in alberi. Si è fatto quest’idea dai racconti scritti da Ovidio. Lo stesso, nelle sue Metamorfosi, racconta molte storie in cui delle persone vengono trasformate: qualche volta in ricompensa ad una buon’azione, ed altre volte per punizione. Racconterò la metamorfosi che trovo la più intrigante: la storia di Mirra e Cinira.
Il personaggio di Orfeo, non Ovidio stesso, è il narratore di questo racconto. Il musicista più conosciuto nel mondo classico inizia la storia così:
dira canam; procul hinc natae, procul este parentes,
aut, mea si vestras mulcebunt carmina mentes,
desit in hac mihi parte fides, nec credite factum,
vel, si creditis, facti quoque credite poenam ( Met. X.300-303).
Canterò canzoni difficili; quindi, state lontani, figlie e genitori,
o, se le mie canzoni piaceranno ai vostri menti,
spero che non troviate nessuna credibilità in questa storia, e che non crediate che sia davvero successo,
o, che se ci credete, credete anche nella punizione somministrata.
Orfeo non mente; la storia è veramente tragica ed inquietante. Cinira, re di Cipro, aveva una figlia, chiamata Mirra. La figlia ha commesso un crimine, ma non a causa dell’odio. Tutto al contrario. Alla base del suo crimine era l’amore.
[…] scelus est odisse parentem,
hic amor est odio maius scelus (314-315)
è peccato odiare tuo padre,
ma questo amore è peccato più grande
Sì, Mirra era innamorata del proprio padre. Quando lui le ha domandato con che tipo di uomo desiderava sposarsi, gli ha risposto, “ similem tibi (364), un uomo simile a Lei”, piangendo. Non avendo capito il significato delle sue parole, il padre era contento.
Dopo aver perso tutta la sua voglia di vivere, Mirra ha provato a suicidarsi, ma è stata scoperta dalla sua bambinaia fedele. Vedendola urlare e battere i suoi seni (era d’uso per esprimere un lamento), la bambinaia le ha chiesto di spiegare la causa del suo malore. Dopo esser rimasta in silenzio per un po’, ha confessato il suo amore. La bambinaia ha provato a persuaderla di abbandonarlo, ma più tardi ha promesso che l’avrebbe aiutata a realizzarlo, purché non provasse mai a suicidarsi un’altra volta.
Durante la festa di Cerere, alle donne che la veneravano era proibito di toccare gli uomini. La moglie di Cinira era una di loro. Quindi, La bambinaia ha detto al re che c’era una ragazza interessata a lui. Di notte, gli ha portato Mirra e ha detto:
“ista tua est, Cinyra” devotaque corpora iunxit.
accipit obsceno genitor sua viscera lecto
virgineosque metus levat hortaturque timentem.
forsitan aetatis quoque nomine “filia” dixit,
dixit et illa “pater,” sceleri ne nomina desint (464-468).
“Lei è tua, Cinira” e ha unito i corpi devoti.
Il padre ha ricevuto la figlia sul letto nefasto
e ha calmato la sua paura da vergine e incitato la ragazza impaurita.
Per caso, l’ha chiamata “figlia,” un nome adatto alla sua età,
e lei l’ha chiamato “Padre,” perché quei nomi non fossero assenti al peccato.
Hanno passato molte notti insieme. Cinira era sempre ignaro dell’identità della ragazza al suo fianco. Finalmente, essendo impaziente di vedere la faccia della stessa, Cinira ha portato la lampada al loro letto. Avendo visto la faccia di sua figlia, senza parole, ha preso il suo pugnale e ha provato a ucciderla. Grazie all’oscurità della notte, Mirra è potuta fuggire.
È gironzolata per nove mesi, con il suo grembo pesante. Avendo perso la speranza di vivere ma avendo anche paura della morte, ha pregato agli dei. Sentendola, gli dei l’hanno trasformata nell’albero che porta lo stesso suo nome. Più tardi, ha dato alla luce un bambino chiamato Adone, la cui storia è probabilmente più famosa di quella di sua madre.
Interessante è da notare che Mirra appare nella Divina Commedia, nella decima bolgia del Malebolge infernale. Gianni Schicchi la indica a Dante:
“Quell’ è l’anima antica di Mirra scellerata, che divenne al padre, fuor del dritto amore, amica. Questa a peccar con esso così venne, falsificando sè in altrui forma, come l’altro che là sen va, sostenne, per guadagnar la donna de la torma, falsificare in sè Buoso Donati, testando e dando al testamento norma (Inf.XXX.37-45).”
La sua sofferenza in questa parte dell’Inferno indica che il suo crimine più grave non era stato l’incesto, ma l’inganno. Neanche Ovidio non incolpa l’amore per il crimine di Mirra. Invece, punta il dito ad una delle Furie:
ipse negat nocuisse tibi sua tela Cupido,
Myrrha, facesque suas a crimine vindicat isto;
stipite te Stygio tumidisque adflavit echidnis
e tribus una soror (311-314).
Cupido stesso nega che i suoi armi ti abbiano fatto male,
Mirra, e ritira le sue torce dal tuo crimine;
Una delle sorelle dello Stige ti ha toccata
con delle gonfie vipere.